Provincia di Caserta, Italia
Ormai è vicina la Terra di Lavoro,
qualche branco di bufale, qualche
mucchio di case tra piante di pomidoro,
èdere e povere palanche.
ogni tanto un fiumicello, a pelo
del terreno, appare tra le branche
degli olmi carichi di viti, nero
come uno scolo. Dentro, nel treno
che corre mezzo vuoto, il gelo
autunnale vela il triste legno,
gli stracci bagnati: se fuori
è il paradiso, qui dentro è il regno
dei morti, passati da dolore
a dolore – senza averne sospetto.
Nelle panche, nei corridoi,
eccoli con il mento sul petto,
con le spalle contro lo schienale,
con la bocca sopra un pezzetto
di pane unto, masticando male,
miseri e scuri come cani
su un boccone rubato: e gli sale
se ne guardi gli occhi, le mani,
sugli zigomi un pietoso rossore,
in cui nemica gli si scopre l’anima.
Ma anche chi non mangia o le sue storie
Non dice al vicino attento,
se lo guardi, ti guarda con il cuore
negli occhi, quasi, con spavento,
a dirti che non ha fatto nulla
di male, che è un innocente.
Una donnetta, di Fondi o Aversa, culla
una creatura che dorme nel fondo
d’una vita d’agnellino, e la trastulla
– se si risveglia dal suo sonno
dicendo parole come il mondo nuove –
con parole stanche come il mondo.
[…]
E ti perdi allora in questa luce
che rade, con la pioggia, d’improvviso
zolle di salvia rossa, case sudice.
Ti perdi nel vecchio paradiso
che qui fuori sui crinali di lava
dà celeste, benché umano, viso
all’orizzonte dove nella bava
grigia si perde Napoli, ai meridiani
temporali, che il sereno invadono,
uno sui mondi del Lazio, già lontani,
l’altro su questa terra abbandonata
agli sporchi orti, ai pantani,
ai villaggi grandi come città.
Si confondono la pioggia e il sole
in una gioia ch’è forse conservata
– come una scheggia dell’altra storia,
non più nostra – in fondo al cuore
di questi poveri viaggiatori:
vivi, soltanto vivi, nel calore
che fa più grande della storia la vita.
Tu ti perdi nel paradiso interiore,
e anche la tua pietà gli è nemica.